L’AWARD DI WOMEN IN MOTION VA A VIOLA DAVIS

Per quanto anacronistico possa sembrare, il primo assioma della comunicazione di Watzlawick e Beavin non è ancora stato smentito: «è impossibile non comunicare». Altresì, tutto è comunicazione.

Recentemente, ovvero durante la presentazione degli ultimi Academy Awards, meglio nota come la “notte degli Oscar”, abbiamo assistito al surreale spettacolo inscenato dalla famiglia Smith e Chris Rock. Una sequenza rapida e inaspettata di eventi che ha messo in evidenza due forme profondamente diverse di comunicazione, e tuttavia accomunate da un aspetto non secondario: ovvero, la negazione totale di quei principi comunicativi cui ha dedicato la sua vita di studioso Marshall Rosenberg. Ma non si tratta solo di questo: la comunicazione non verbale con cui Will Smith ha cercato di sopprimere la performance di Chris Rock ha soffocato un’altra forma di comunicazione: il silenzio di sua moglie Jade. È questo un punto su cui già molto è stato detto e questa non è la sede per approfondire il discorso; ma bisogna tenerlo presente ai fini di quanto segue.

Lo schiaffo ricevuto dall’intero mondo del cinema ancora brucia e già un altro importantissimo evento dell’industria filmica sta in questi giorni tenendo occupati gli occhi degli appassionati di tutto il pianeta: ci si riferisce, naturalmente, al Festival di Cannes. Fortunatamente, ad un esempio di comunicazione altamente tossica si è sostituito un altrettanto potente e meraviglioso esempio di comunicazione positiva: da oltre 5 anni il gruppo Kering promuove il Women in Motion Award, che quest’anno è stato ricevuto da Viola Davis. Per chi non conoscesse l’artista in questione, la renderemo presente citando solo il più prestigioso dei vari riconoscimenti che l’attrice si è aggiudicata nel corso della sua carriera, ossia l’Oscar conseguito nel 2017 per la sua performance nel film Barriere.

Nel discorso che scaturisce dal colloquio con l’intervistatrice — l’intera intervista è disponibile nelle pagine social e nel canale YouTube di Variety — emergono tutte quelle difficoltà e quei complessi che Will Smith non ha saputo esprimere diversamente che con la violenza; tutto lo spessore dell’artista e dell’uomo che il suo gesto ha appiattito e sconfessato riemergono integri nella fierezza delle parole con cui l’attrice si racconta. Le ombre lunghe che la mano dell’attore premio Oscar per Una Famiglia Vincente—King Richard aveva gettato su tutta la comunità afroamericana, alimentando la fiamma di beceri pregiudizi e di tristi stigmi sociali, si rischiarano ora di una luce nuova, irradiata dalle parole di una donna, attrice madre e attivista che giganteggia sulla figura di un uomo piccolo e impotente.

Sicuramente, un ottimo spot per il mondo del cinema, troppo spesso finito ad essere spettacolo di sé stesso per i motivi più sbagliati.

Giulio Montagner