Il 18 settembre del 2015, l’EPA ha notificato, con un verdetto storico, una Violazione al Gruppo Volkswagen: approssimativamente cinquecentomila modelli diesel (tra Audi e VW), venduti nel mercato statunitense tra il 2009 ed il 2015, contenevano un impianto di manipolazione delle emissioni. La mattina seguente lo scandalo – poi passato alla storia come Dieselgate – il New York Times ed il Wall Street Journal, con toni gravi, accendevano i riflettori mondiali sulle nefandezze commesse dal brand. Esattamente due giorni dopo iniziava la strategia di crisis management di Volkswagen, con la pubblica ammissione di colpevolezza e le scuse ufficiali al pubblico.
Sarebbe logico pensare, a questo punto, che il 2015 sia stato un anno nero per la casa automobilistica, a vantaggio dei diretti competitor non coinvolti nella crisi reputazionale; ed effettivamente sorprende che altri brand tedeschi non-Volkswagen (BMW, Mercedes-Benz e Smart nello specifico) abbiano sofferto lateralmente le conseguenze dello scandalo, sia in termini di rendimenti azionari rispetto ai risultati di mercato previsti, che di vendite e brand reputation. Tutto ciò dimostra l’esistenza del cluster reputazionale “German Engineering”.
Per osservare l’impatto del Dieselgate sulle vendite di autoveicoli non-VW, risulta illuminante un event study condotto da CESifo (Center for Economic Studies and Ifo Institute di Monaco), che combina due tipologie di dati complementari:
- i rendimenti giornalieri delle azioni statunitensi;
- le ricevute di deposito azionario americane per i produttori di automobili quotati in borsa da paesi esteri, come la Germania, con la finalità di avere un quadro specifico sulla reazione degli investitori statunitensi.
L’event study prende in esame il periodo di tempo gennaio 2011 – agosto 2016; ne risulta che il tasso di crescita delle vendite per i veicoli tedeschi non-VW sia diminuito di più del 10%, con effetti simili sul prezzo delle azioni.
La domanda da porsi è: perché, a fronte di un agire apparentemente impeccabile, i consumatori hanno punito BMW, Mercedes-Benz e Smart? Questo declino – a un primo impatto non supportato da alcuna evidenza razionale – può essere spiegato facendo ricorso al concetto di reputazione “collettiva”, usata a vantaggio dalla stessa Volkswagen in un commercial andato in onda negli Stati Uniti nel 2014, in cui vengono mostrati due concetti in rapida successione: «[…] Tutti sanno che le migliori macchine al mondo arrivano dalla Germania» – cui segue – «Non è arrivato il tempo dell’ingegneria tedesca?».
Questo studio ha due implicazioni meritevoli di essere sottolineate:
- Nessun brand è un’isola: vicinanza geografica, value proposition o tecnologie simili, permettono la costituzione di “ombrelli reputazionali” tali da influenzare di volta in volta la brand image di una corporation;
- La reputazione, di per sé asset intangibile e non misurabile, se studiata con una combinazione di analisi indirette (la variazione nelle vendite, nel valore delle azioni, nel sentiment espresso su internet), acquisisce un rilievo quantitativamente determinabile e non trascurabile.