Amazon ha deciso di implementare il programma di gamification aziendale volto a trasformare i vasti magazzini della multinazionale americana in terreno di gioco per i suoi dipendenti.
Già dal 2019, FC Games, il programma di gamification offerto da Amazon per i suoi lavoratori si è trasformato in realtà. Si tratta di un programma messo a disposizione in maniera gratuita e dall’adesione opzionale che include 6 mini-games, tutti da svolgere nel grande magazzino in cui si lavora. Non sappiamo quanti dipendenti abbiano effettivamente aderito, ma la notizia che la multinazionale abbia effettuato la sua implementazione verso altri warehouse e altre nazioni induce a pensare ad un vero successo.
Gli ingredienti della riuscita del programma sono infatti tre: challenge, gamification e instant gratification.
Ogni missione da completare è legata a task da svolgere durante le ore di turno, e permette di sfidare i propri colleghi (anche in diverse sedi) guadagnando token da poter convertire in simpatici animali virtuali come dinosauri o pinguini: una vera gamification del proprio lavoro.
Ma, c’è un ma: come sempre niente avviene per caso. Facile pensare come il vero scopo dietro gli FC Games sia quello di aumentare la produttività dei dipendenti. Missione dopo missione, per arrivare al vertice della classifica, si richiede di essere sempre più veloci, più precisi, più efficienti.
Alcuni dipendenti intervistati si sono mostrati entusiasti verso il programma, riportando come effettivamente i giochi riescano a rompere la monotonia del turno di lavoro. Altri però mostrano preoccupazione. Effettivamente, molti dipendenti potrebbero sentirsi ancora più alienati sotto almeno quattro punti di vista, gli stessi a cui Marx si riferiva in “Manoscritti economico-filosofici” (1844):
In primis, dal prodotto del proprio lavoro, che diviene un oggetto estraneo avente un dominio sul lavoratore; in Amazon i dipendenti spostano ogni pacco in modo indistinto ed indifferente.
Verso l’attività lavorativa, percepita come “non appartenente” al dipendente; nei vasti magazzini le operazioni da svolgere sono ritmate da una tremenda monotonia che non a caso estrania chi le svolge.
Dal genere umano, poiché l’ “essenza specifica dell’uomo” è trasformata in “un’essenza estranea”; nei magazzini, il lavoro svolto da uno è uguale a quello svolto da qualcun altro (umano o automa che sia), per questo facilmente sostituibile e non differenziabile.
In un’ultima analisi, si viene estraniati dagli altri uomini; nei warehouse non si entra in contatto con l’altro, si è da soli a svolgere il proprio compito e anche i giochi sono pensati per essere individuali.
Per ricapitolare: da un lato il piacere e lo stupore verso qualcosa di nuovo, dall’altro il sospetto che si tratti dell’ennesima trovata per incrementare unicamente l’interesse della grande, grandissima azienda. E poi, chissà che il gioco non venga usato per tracciare il lavoro dei dipendenti e ricavarne metriche, spingendo in modo subdolo ma efficace ad alzare sempre di più l’asticella della produttività col metodo della challenge e di premi sempre più corposi.
Distopico? Probabile. Ma d’altronde…è solo un gioco.