È possibile stringere un legame d’affetto reciproco con un pesce? O più precisamente con un cefalopode?
Nonostante la peculiarità delle domande, e l’ingiusta fama di cui godono i pesci di essere dotati di una mente poco sviluppata, il documentario My teacher Octopus, prodotto da Netflix nel 2020, insignito del premio Oscar come miglior documentario, sembrano rispondere affermativamente ad entrambe le domande.
Il documentario si svolge in Sudafrica nel 2010 quando il naturalista e documentarista Craig Foster, reduce da un burnout e oppresso da una fatica cronica, decide di prendersi una pausa e di dedicarsi ad una sua passione, le immersioni in apnea. Mentre nuota in una foresta di alghe marine al largo della costa intravede una piovra che per nascondersi dal possibile pericolo si mimetizza coprendosi con delle conchiglie. L’incontro suscita l’interesse del naturalista, al punto che decide di seguirla nei giorni successivi.
Il documentario procede tra la diffidenza del polpo e la pazienza di Foster che, quasi ogni giorno, per un anno decide di immergersi per avvicinarsi all’animale intessendo con questo una relazione amicale sempre più stretta. Il rapporto che si crea e le riprese realizzate, in parte da Foster e in parte da Roger Harrocks, cameramen subacqueo, ci svelano minuto per minuto la complessità della mente della piovra.
Le immagini si susseguono tra i colori brillanti e le movenze leggere della piovra che si rivela a Foster e a noi. Il legame tra di lei e il regista diventa sempre più stretto e in un’intervista a riguardo lo stesso ha sottolineato come la fiducia che aveva ottenuto dal polpo gli aveva permesso di vedere aspetti mai osservati prima dagli scienziati in quanto la creatura ignorava la presenza della telecamera permettendo l’accesso al suo mondo.
Tra le scene più incredibili ci sono la passeggiata della piovra sul fondo del mare, la fuga fuori dall’acqua dagli agguati dello squalo e il gioco con gli altri pesci, rivelando un aspetto anche scherzoso. Nell’arco di tutto il documentario, così come Foster anche noi sviluppiamo un’affezione per il polipo, al punto che quando la natura compie il suo corso non possiamo che soffrire con lui e accettare che dobbiamo rispettare l’ordine delle cose anche quando non è facile.
Il documentario non è interessante solo per gli aspetti che ci svela sull’intelligenza dell’animale ma anche perché ci porta a riflettere ed ad imparare da questo (già il libro Altre Menti di Peter Godfrey Smith aveva indagato la profonda psicologia e la complessità di questa specie). Il polipo, come suggerisce il titolo, si trasforma in un maestro che ci insegna la pazienza, l’empatia ed alla fine a portare rispetto per l’ordine della natura anche quando questo ci fa soffrire.
Eugenia Maria Montresor