A TAXI DRIVER: LA RAPIDA ASCESA DEL CINEMA SUDCOREANO

Il 2019 è stato un anno trionfale per il cinema sudcoreano.  Alla settantaduesima Mostra del Cinema di Cannes infatti, il film del regista Bong Joon-ho Parasite, si è conquistato ben tre premi Oscar cui sono seguiti un David di Donatello, un premio ai Golden Globes e numerose altre candidature e riconoscimenti internazionali. Tuttavia, il successo di Parasite è stato solo l’apice di una lunga scalata che ha portato negli ultimi vent’anni il Paese ad emergere sempre di più in campo cinematografico. 

La storia del cinema coreano inizia tra gli anni ’20 e ’30, ma negli anni ’50 in Corea del sud è il cinema americano ad imperversare lasciando poco spazio alle produzioni nazionali. Bisognerà attendere gli anni ’60 per veder fiorire una produzione di stampo nazionale che porterà i prodotti coreani anche sui mercati europei tra gli anni ’80 e ’90. La sfida raccolta dal cinema sudcoreano del nuovo millennio è stata quella di raccontare in maniera vivace, coraggiosa, profonda, ma anche critica, i problemi sociali e i cambiamenti che hanno segnato e continuano a segnare la storia della nazione. 

A Taxi driver (rilasciato il 23 febbraio scorso su Sky) è un magnifico esempio di questo connubio tra vivacità e drammaticità tipica del contesto produttivo coreano. Si tratta di una commedia drammatica distribuita nel 2017, che fa certamente sorridere, ma che ci porta poi a conoscere la cruda verità sulla repressione della rivolta studentesca per mano dei militari nella cittadina di Gwnag-ju, nel Sud del Paese. 

Il film si basa sulla vera storia del reporter tedesco Jürgen Hinzpeter che, grazie all’aiuto di un povero tassista coreano, riuscì negli anni ’80 a documentare e a far conoscere al mondo le barbarie della repressione militare tanto da spingere gli Stati Uniti a ritirare progressivamente il sostegno al regime di Chun Doo-hwan. Joon-ho con questo film è riuscito a coniugare perfettamente il desiderio di far conoscere un tema politico con il racconto di un’amicizia nata per caso e la rappresentazione di uno spaccato di società con immagini violente di morte. 

L’opera è stata molto apprezzata a livello internazionale, ma ha raccolto grandi consensi anche a livello nazionale facendo leva sulla coscienza politica dell’opinione pubblica.  Il regista è riuscito a far entrare il pubblico nei panni del tassista protagonista della vicenda e a far riflettere sull’insensatezza di una strage su cui tutt’oggi non si conosce l’intera verità. 

A Taxi Driver, oltre ad essere uno straordinario successo, rimane un esempio di quel cinema commerciale che da qualche anno ha dimostrato di volersi confrontare con la storia del proprio Paese, una storia che per decenni ha alternato periodi di democrazia con periodi di opprimente autocrazia. 

In attesa che questa industria in ascesa ci regali nuovi capolavori, se non l’avete ancora fatto godetevi questa interessante opera cinematografica. 

Sofia Contini