Quante volte abbiamo pensato a Walt Disney e DreamWorks Animation come dirette competitors nel campo dell’animazione? Eppure, soprattutto agli albori degli anni 2000, le differenze tra i prodotti delle due major risultavano essere abbastanza delineate.
Con il senno di poi, ripensando ad alcuni film che hanno segnato l’infanzia di molti giovani nati verso la fine degli anni ’90, sorge spontaneo chiedersi che cosa possa essere sfuggito agli occhi poco attenti (ma soprattutto innocenti) di un bambino che, seduto davanti al televisore, vede scorrere sullo schermo le sgargianti immagini cartoon a cui alcuni assi dell’industria (come Disney e DreamWorks, appunto) ci hanno abituato. Animali parlanti, colori accesi, canzoni allegre, tematiche a volte pesanti ma trattate in modo consono all’età della propria target audience… tutte queste caratteristiche possono davvero essere associate in modo indistinto a entrambe le case di produzione? Forse no. Laddove Disney si è da sempre concentrata su un segmento di pubblico relativamente giovane (cominciando a plasmare le sue strategie solo una volta superata la soglia del nuovo millennio), DreamWorks, nei suoi “soli” 26 anni di vita, si è invece dedicata a percorrere una strada esattamente opposta. Si può infatti affermare che la major non sia nata come casa d’animazione: il suo debutto è avvenuto nel 1997 con il thriller d’azione The Peacemaker, mentre il primo lungometraggio Disney è stato Biancaneve e i sette nani nel 1937.
Ma anche laddove DreamWorks abbia di fatto sondato il terreno dei cartoni animati, le differenze non tardano a emergere: Z la formica (1998), primo lungometraggio animato della casa di produzione, mostra un umorismo “adulto”, scene con particolari molto crudi (come il cadavere deformato di una vespa uccisa da una paletta per mosche) e un’animazione 3D con colori davvero poco accesi (quantomeno all’interno del formicaio). Si può dire, insomma, che DreamWorks si sia da subito servita dell’animazione per creare film principalmente rivolti ai “più grandi”, ma che anche i bambini potessero vedere. Le gag adulte (talvolta ben celate, talvolta un po’ meno) sono comuni anche ad altri prodotti della casa, come La strada per El Dorado (2000), Shrek (2001) o Sinbad – La leggenda dei sette mari (2003). Ed è logico che, a distanza di anni, il mondo di Internet si sia dedicato a scovarle un po’ tutte.
Un esempio particolare di divergenza tra Disney e DreamWorks è Il Principe d’Egitto, film del 1998 che riprende – con qualche adattamento – la storia biblica di Mosè e dell’esodo. La scelta tematica è già di per sé interessante, in quanto Disney non si è mai ispirata in modo diretto ai soggetti sacri e si è sempre premurata di censurare abilmente scene con possibili rimandi alla tortura. Al contrario, la sequenza d’apertura de Il Principe d’Egitto mostra chiaramente gli schiavi venire frustati e maltrattati mentre alcuni soldati egizi entrano nelle loro case per ucciderne i neonati. Non manca poi una copiosa rappresentazione del sangue, così come quella delle ulcere, degli animali morenti, della devastazione, delle grida di persone innocenti e, soprattutto, della morte dei primogeniti egizi ad opera del flagello di Dio (l’ultima delle dieci piaghe). Anche qui, l’animazione in 2D si rivela più realistica di quanto non lo fosse nei coevi cartoni disneyiani.
Col tempo, DreamWorks sembra aver perso questo suo desiderio di appellarsi agli adulti tramite i cartoni animati, cedendo il passo ai prodotti più recenti della sua rivale e dedicandosi a un segmento di pubblico decisamente più giovane. Disney, al contrario, dall’inizio del nuovo millennio a questa parte sembra sì privilegiare i cartoni animati per bambini, ma con risvolti e morali che sanno toccare anche (e soprattutto) il cuore degli adulti.