A VERY ENGLISH SCANDAL: L’APOTEOSI DELLO HUMOUR INGLESE

A Very English Scandal è una miniserie britannica del 2018 composta da sole tre puntate. Fra gli interpreti, spicca il ritorno sullo schermo di Hugh Grant. Lo “scandalo molto inglese” messo in scena è basato su una storia vera condita con un irresistibile british humour

Hugh Grant interpreta Jeremy Thorpe, un membro in vista del Partito Liberale che nel 1965 si trova a scontrarsi con il suo passato. Questo passato ha il volto di un amante respinto. No, non ho dimenticato l’apostrofo: Thorpe nel 1961 iniziò una relazione con Norman Josiffe. Quest’ultimo è interpretato da Benjamin John Whishaw, che personalmente ho trovato perfetto in questo ruolo. Negli anni Sessanta l’omosessualità era un segreto da tenere sepolto, perciò quando Jeremy si stanca del giovane amante, decide di pagarlo per provare a lasciarsi tutto alle spalle. Nel 1968 si sposa con una perfetta casalinga, ha un bambino e diventa leader del suo partito. Tutto è come deve essere, fino a che Norman non torna prepotentemente in scena. Si sa: nessun segreto resta sotto terra per sempre.

Se non fosse stato dichiarato fin da subito che questa messa in scena è tratta da una storia vera, nessuno ci avrebbe davvero creduto a posteriori. Nei 170 minuti complessivi della serie infatti, si succedono situazioni rocambolesche, al limite del paradossale, che suscitano una genuina ilarità nello spettatore. È humour inglese pure e semplice, che trova il terreno più fertile per proliferare nel contrasto: situazioni tragiche che hanno degli imprevedibili risvolti comici.

Un esempio di questa vena marcatamente umoristica è ciò che sta alla base delle reiterate minacce di Norman, il mancato adempimento di una parte del patto con Jeremy: l’ottenimento della tessera dell’assicurazione nazionale. Questo rettangolino di plastica ci accompagna lungo tutta la storia e sembra essere un moderno Sacro Graal per il ragazzo.

La serie parte in maniera abbastanza lenta, quasi sottotono, per poi accelerare costantemente fino ad arrivare a un ritmo frenetico e rallentare di nuovo. Questa struttura ad arco è perfetta per mettere in luce l’episodio forse più comico dell’intera vicenda: il tentato omicidio di Norman commissionato da Thorpe. Dire “tentato” è un eufemismo: è stato un totale fallimento. Siamo nel 1973. È questa la goccia che fa traboccare il vaso, portando alla luce tutto lo scandalo Thorpe (che, a sua insaputa, veniva tenuto d’occhio dalla polizia da molto tempo).

Quella che, secondo Thorpe, doveva essere una “risoluzione” dei suoi problemi, si è trasformata nella sua fine, almeno politicamente parlando. Siamo ormai nel 1979: in questi tre episodi vediamo quindi condensati quasi 15 anni. Un perfetto uso delle ellissi temporali fa sì che tutta la storia abbia un filo logico, senza che manchi nulla a quanto ci viene narrato.

Siamo quindi arrivati alla fine e persino la conclusione è il perfetto coronamento di tre ore di british humour. Infatti, la serie termina dicendoci che Norman è ancora vivo e che sta aspettando una cosa e una soltanto: la tessera dell’assicurazione nazionale.

Federica Cataldi