A Discovery of Witches – Il manoscritto delle streghe è un serie britannica del 2018 che è arrivata in prima visione in Italia nel 2020 su Sky Atlantic (per chi volesse recuperarla, la trova su Sky Box Set). Dopo aver raccolto il consenso della critica, la serie è stata rinnovata per ben due stagioni.
A Discovery of Witches si basa sulla Trilogia delle anime di Deborah Harkness. Ambientata ai giorni nostri, la serie ha come protagonista Diana Bishop, una storica di Oxford. La ragazza è anche una strega, decisa però a stare il più lontano possibile da quel mondo. Senza fare spoiler, per un susseguirsi di circostanze si trova invischiata in ciò che per una vita ha cercato di evitare. In tutto ciò non può mancare una degna controparte maschile, il vampiro Matthew Clairmont (bello e misterioso come vuole il più immancabile dei cliché).
Questa digressione a livello di trama mi è servita per due motivi: innanzitutto, la serie in Italia non è ancora così conosciuta da dare per scontata la conoscenza della storia, e in secondo luogo volevo offrirvi qualche coordinata, per quanto abbozzata, prima di esprimere il mio pensiero più critico. Partiamo dal presupposto che mi reputo un amante del genere fantasy, con tutti i suoi pregi e difetti. Di conseguenza sono sempre pronta a difendere a spada tratta questa tipologia di serie tv, spesso snobbate da una parte del pubblico. In questo caso però non me la sento.
Di per sé la storia messa in scena non ha una grande carica innovativa, ma questo è abbastanza normale, soprattutto se si decide di parlare di streghe e vampiri (da The Vampire Diaries a True Bloods, possiamo dire che ce n’è davvero per tutti i gusti). Comunque c’erano degli elementi interessanti, in particolare per quanto riguarda quel manoscritto delle streghe che dà anche il titolo alla serie. Non posso nemmeno dire che i personaggi lascino il segno, per quanto gli attori protagonisti Teresa Palmer e Matthew Goode abbiano una buona intesa e calzino nei rispettivi ruoli mancano di profondità. Perdoniamo inoltre quelle scivolate nel “trito e ritrito”, come il vampiro dalla pelle pallida e l’immancabile dialogo fra i due su quanto il sangue di lei sia profumato e irresistibile per lui, che dopo Twilight ha iniziato davvero a stancarci.
Dunque, perdono tutti questi aspetti senza rancore, davvero, e mi godo le prime puntate sapendo che ciò che sto guardando non sarà la Twin Peaks della nostra generazione e mi va bene così. Ad un certo punto della serie però, circa a metà degli otto episodi complessivi, iniziano a presentarsi davanti a me delle scene che mi fanno venire voglia di interrompere la visione. Serie fantasy non deve essere per forza sinonimo di effetti speciali, soprattutto se non si è in grado di farli. Ora, non mi aspettavo di certo una computer grafica degna della Marvel, ma quanto meno un grado minimo di serietà. Fino all’ultimo episodio, ho visto streghe volanti, vampiri a velocità supersonica e frecce di fuoco che sembravano reali quanto un filtro di Instagram.
Mi rendo conto di essere una voce fuori dal coro visto che è stata addirittura nominata per la miglior nuova serie drammatica del National Television Awards. Sicuramente le darò un’altra occasione, aspettando la seconda stagione in uscita a dicembre e sperando in un uso più sapiente della tecnologia degli effetti speciali (oppure in una sua totale assenza!).