AMERICAN CRIME: TUTTI I VOLTI DEL CRIMINE

American Crime è una serie televisiva statunitense andata in onda per tre stagioni (dal 2015 al 2017). Se provate a googlare il titolo, fra i primi suggerimenti esce American Crime Story: si tratta, in realtà, di un’altra serie iniziata dopo (nel 2016) che però ha riscosso più successo. Oggi vorrei mostrarvi come American Crime abbia in parte precorso la sua quasi omonima.

Ogni stagione della serie in questione è in sé auto-conclusa. Il fil rouge che fa da collante si esplica sostanzialmente in due aspetti. In primis, al centro c’è sempre un crimine controverso che porta alla luce “insospettabili sospettati” per così dire e mostra che tutti hanno degli scheletri nell’armadio. 

Senza spoiler, ma per contestualizzare: nella prima stagione si indaga su un brutale omicidio di un veterano di guerra e del ferimento grave della moglie a Modesto, in California; nella seconda uno studente di Indianapolis viene brutalmente bullizzato e delle sue foto vengono pubblicate online; nella terza un padre originario del Messico indaga sulla scomparsa del figlio e scopre le condizioni di schiavitù in cui vengono tenuti gli immigrati clandestini nelle coltivazioni della Carolina del Nord. Come si può notare, non solo i reati sono diversi fra loro, ma anche i soggetti coinvolti a livello di classe sociale, etnia ed età. Ciò che la serie vuole far emergere è che il crimine si trova ovunque (cambiano infatti anche gli Stati in cui avvengono le vicende). Proprio in questo, a parer mio, American Crime Story è parzialmente debitrice di American Crime

Al termine di ogni stagione il sentimento che resta nello spettatore è di amarezza e di “sospensione”. Infatti, sembra che la giustizia non riesca mai a trionfare davvero e che non tutti i segreti vengano svelati. Resta sempre il dubbio su quale sia la verità. L’atmosfera di cui è impregnata l’intera serie è profondamente cupa e inquietante, i dialoghi sono densi e difficilmente si riesce ad empatizzare con uno qualsiasi dei personaggi.

Abbiamo detto, però, che sono due gli aspetti che fanno da fil rouge nella serie. In secundis, quindi, ciò che fa da collante sono gli attori. Nelle tre stagioni ritroviamo le stesse persone che interpretano di volta in volta personaggi completamente differenti fra loro: per citarne due, in scena ci sono Felicity Huffman e Timothy Hutton. Questo fatto, oltre a mettere in luce la bravura degli attori e l’abilità nell’interpretare anche le più piccole sfaccettature dell’animo umano, consente di creare un senso di familiarità nello spettatore. Inoltre, si stabilisce una situazione per cui il personaggio viene davvero messo in primo piano e al centro, svincolandosi dall’attore che lo interpreta che diventa uno strumento multifunzionale. 

Per concludere, siamo di fronte a una serie interessante che indubbiamente può arricchire il bagaglio di qualsiasi amante del genere. Richiede un certo impegno perché le situazioni messe in scena sono molto pesanti emotivamente, ma questo viene certamente ripagato in virtù di tutto ciò di cui abbiamo parlato sopra. Sperando di avervi convinto, vi auguro buona visione!

Federica Cataldi