In una storia di amore e scienza, James Marsh racconta gli anni più intensi di un uomo diventato una leggenda. Le parole ‘buchi neri’ vi dicono niente? Sì, stiamo parlando proprio di Stephen Hawking.
Era il 7 novembre 2014 quando, nelle sale cinematografiche statunitensi (e, pochi mesi dopo, in quelle italiane), arrivava il film che raccontò per la prima volta sul grande schermo la storia di Stephen Hawking. La pellicola porta il titolo “La teoria del tutto” (The Theory of Everything), ed è un adattamento della biografia “Verso l’infinito”, dal titolo originale Travelling to Infinity: My Life With Stephen, scritta da Jane Wilde Hawking, ex-moglie del grande fisico. Il film prende avvio dal 1963, anno in cui i due si conobbero, quando Hawking muoveva i primi passi nel mondo della cosmologia. Quando, in particolare, inizia a mettersi alla ricerca di un’unica formula che possa spiegare la nascita dell’universo.
Il sentimento che sboccia tra i due viene però subito ostacolato da una diagnosi drammatica: il ventunenne Stephen è affetto da atrofia muscolare progressiva, una malattia degenerativa del motoneurone che compromette irrimediabilmente l’uso dei muscoli, e la cui aspettativa di vita è di soli due anni. Da qui, ecco comparire la ferma volontà di Jane, interpretata da una splendida Felicity Jones, di non lasciare alla malattia l’ultima parola, e la decisione di prendersi cura dell’uomo che ama. Ecco rivelarsi quello che è uno dei motori del film (e probabilmente della vita vera dei due), e cioè come Jane sia la prima e più grande sostenitrice del marito, quella che nonostante la differenza di vedute su Dio crede veramente che egli riuscirà a compiere la sua opera. Anche quando il professore perde l’uso della voce, ultima capacità che gli è ormai rimasta, la moglie sa che egli deve vivere. Che il tempo, seppur così infausto, è ciò della cui origine Stephen è alla ricerca (confluita poi nel libro Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo – A Brief History of Time).
Uno straordinario Eddie Redmayne, che per la sua interpretazione ha guadagnato l’Oscar al Miglior Attore, ci mostra l’uomo oltre lo studioso: magistrale l’attore britannico nel cogliere le più piccole sfaccettature che nonostante il deterioramento manifestano arguzia e umorismo tipici di Hawking tramite minuscoli movimenti degli occhi e del viso. Un uomo che è padre e soprattutto marito, il quale, seppur dopo lo spegnersi dei sentimenti con la moglie (la quale si legherà a Jonathan Hellyer Jones mentre lui sposerà l’infermiera Elaine Mason), non dimentica l’impatto che ella ha avuto sulla sua vita.
Quando, alla fine, egli le dice ‹‹Guarda che cosa abbiamo fatto››, riferendosi ai figli, ci fa capire la straordinarietà di un’esistenza – anzi, di due – spesa al di là di ogni confine immaginabile, perché ‹‹per quanto possa sembrare brutta la vita, c’è sempre qualcosa che uno può fare e con successo. Perché finché c’è vita, c’è speranza››.
Chiara Anastasi