BIG LOVE: UN MISTICISMO A TRATTI GROTTESCO CHE NON CONVINCE

Big Love è una serie televisiva statunitense andata in onda dal 2006 al 2011. Nonostante le sue cinque stagioni, che nel panorama seriale di questi anni sono un buon risultato, e la vittoria di un GoldenGlobe, resta un prodotto non molto conosciuto dal grande pubblico. Oggi voglio darvi una mia recensione, restituendovi i suoi pregidifetti.

Prima di iniziare vi avviso che, continuando, incorrerete in qualche spoiler. A parer mio anche la conoscenza di alcuni fatti non rovinerà un’eventuale fruizione di questa serie: in parte perché alcuni avvenimenti sono abbastanza prevedibili, e in parte perché il fulcro di Big Love non sono assolutamente i colpi di scena.

Come il titolo fa già un po’ sospettare, al centro della serie ci sono le vicende di una famiglia poligama. La poligamia negli Stati Uniti (come in molti altri paesi) è vietata: se si sceglie di seguire questa religione (infatti la poligamia si declina in un suo credo) lo si deve fare di nascosto dalle autorità. Bill Henrickson (interpretato dal bravissimo Bill Paxton) ha tre mogli e sette figli, almeno all’inizio della serie, e riesce a condurre una vita apparentemente normale. Barbara, Nicolette e Margene sono le sue consorti (anche in questo caso le scelte di cast sono fantastiche) che devono convivere con questa scelta. Soprattutto Barb: essendo la prima moglie per anni ha vissuto da monogama con Bill. Il ritratto delle emozioni dei diversi personaggi è complicato e profondo: accompagnato da una recitazione notevole resta il miglior pregio della serie.

Dopo questa breve spiegazione, inizio a restituirvi alcune mie impressioni. Fare una serie incentrata sulla poligamia è complicato, perché implica per forza una reazione morale nel fruitore. Questo soprattutto per quanto riguarda il lato più oscuro della poligamia: mentre Bill è un poligamo “virtuoso” (se così possiamo definirlo), coloro che invece vivono nelle comunità chiuse sono di ben altra pasta. Parliamo di incesti, spose minorenni e completa mancanza di istruzione. C’è, a parer mio, una lodevole scelta di denuncia che questa serie porta avanti, per mostrare al pubblico un problema sociale più esteso di quello che si pensa e di cui non si parla. 

I problemi sono arrivati dopo. Superate le prime stagioni, viene presa una piega discutibile, andando verso una sorta di fanatismo mistico portato avanti dal protagonista. Bill si erge a profeta, a uomo eletto che parla con Dio. A questo punto mi sono trovata davanti a una serie con cui non riuscivo più ad entrare in empatia, perché tutti i personaggi erano troppo distanti da me. 

Arriviamo al tasto ancora più dolente: il finale (inutile dirlo, spoiler). Ciliegina sulla torta di questa distorta misticità è l’ultimo episodio della serie: Bill muore. E fin qui posso accettarlo, perché è una conclusione almeno coerente. Ma poi arriva la scena conclusiva: le tre mogli si stanno salutando nella sala da pranzo ed ecco che seduto al posto di capotavola si vede una sorta di fantasma del marito che le guarda sorridendo. Mi va bene la misticità, il fanatismo e il profeta, li posso prendere come una provocazione: ma la scena finale alla Casper, come a dire “io sono sempre qua”, potevano anche risparmiarcela. 

Il mio è dunque un invito critico nei confronti di una serie che può comunque offrire degli spunti interessanti.

Federica Cataldi