Come lasciare il segno. Tutte le fortune di Riccardo Taverna.

Io e Riccardo ci incrociamo nei corridoi dell’agenzia ogni giorno ed è quasi sempre accompagnato da Stepan. Di Riccardo so soltanto che è un collaboratore di Aida Partners, l’agenzia di Pubbliche Relazioni affiliata con Ogilvy and Mather in cui sto facendo il tirocinio, e che è su una sedia a rotelle. 

Poi,  un giorno, durante la pausa pranzo io e un collega incrociamo per strada Stepan, il badante di Riccardo, che diventa spunto di conversazione per due persone che si conoscono poco. Scopro grazie al mio collega che Riccardo ha scritto un libro nel 2015, “Tutte le Fortune”, che racconta della sua storia, della malattia rara che gli è stata diagnosticata da ragazzo e di come, prima di incontrare il badante giusto, Stepan, ci siano stati incontri sbagliati come capita in tutte le storie d’amore. Chi non vorrebbe leggere un libro sulla storia di qualcuno che vede tutti i giorni.

Carmela 2Riccardo Taverna, 53 anni è impegnato attualmente nella comunicazione della Sostenibilità d’Impresa e sposato con Nelly, che per lui è La bellezza. A 23 anni la sua vita cambia con l’arrivo della CIDP, una malattia neurologica di tipo autoimmune. Gli anticorpi attaccano la mielina, lo strato più esterno del nervo, perché non la riconoscono. Così la CIDP provoca la perdita di sensibilità e forza. Con il tempo anche dell’autonomia. A 23 anni il suo fisico, temprato da dieci anni di judo, sci e windsurf, si deteriora. Di certo non il carattere. Possiede un blog, Badavo ai badanti, in cui racconta la sua storia e della sfida che la vita gli ha mandato, accompagnata dal Parkinson e un infarto all’età di 48 anni. Perché “Riccardo non si fa proprio mancare nulla”.

Durante l’intervista mi trovo davanti una persona pacata e dagli occhi sinceri. Riccardo dice di aver scritto il libro per due motivi: il primo – in barba all’ipocrisia – per sfamare il suo ego, il secondo per dedicarlo a una persona che avrebbe conosciuto soltanto dopo, promuovendo il libro nelle scuole della Lombardia.

carmelaLa sua malattia, come spiega nel libro, mangia la mielina del suo sistema nervoso e presto le sue mani perdono forza. Così realizza quanto le mani siano una parte fondamentale di noi, perciò ai ragazzi delle scuole in cui fa visita lascia un pennarello sul tavolo e chiede loro di scrivere il nome sulla lavagna senza usare le mani. La mano è, come dice Riccardo, lo strumento più straordinario che la natura abbia concepito. È lì, in fondo al braccio, ai confini della consapevolezza. Quasi una appendice. Eppure non si può far altro che arrendersi all’evidenza. La mano è un miracolo. Afferra, accarezza, costruisce, scrive, parla, scopre, vede, sente, ama, legge, crea, difende, attacca, trasporta, dipinge, scolpisce. E non ci accorgiamo di lei. Ci sono cose che perdiamo che fanno arrabbiare, ci lasciano spaesati e frustrati ma è solo in noi la capacità di andare oltre e superare i nostri ostacoli.

Dicono sia un libro su come adattarsi ai cambiamenti, che è anche il suo mestiere visto che si occupa di sostenibilità e come le imprese debbano cambiare per essere sostenibili. Un grande lavoratore, che si è buttato a capofitto nella piscina dell’etica d’impresa dall’occuparsi di comunicazione del mercato finanziario. La sostenibilità d’impresa vent’anni fa era un presidio e oggi è la realtà.

Eppure è anche un libro sulla fiducia in se stessi e verso gli altri: “Fare affidamento su me stesso è l’architrave e devo avere fiducia delle mie possibilità e a volte andare oltre. Io mi fido degli altri, a priori. Rimango deluso mortalmente quando la mia fiducia viene tradita, ma è così bello incontrare persone meravigliose e so che se mi chiudessi per paura di avere fiducia posso premunirmi dall’incontrarne in futuro. E non mi priverei mai di questo.” 

Oggi dice di sentirsi una persona diversa, forse si sarebbe detestato se non fosse cambiato per la malattia. Gli chiedo se questa sua resilienza sia ereditata o innata e Riccardo mi risponde che l’ottimismo può migliorare grazie all’esercizio. Come? Avendo il coraggio di guardare il lato positivo, farne una costante ricerca.

Nel suo romanzo racconta dei momenti vissuti in ospedale e del suo compagno di stanza, un ragazzo che sin da piccolo aveva avuto problemi con la vista mitigato con delle lenti dello spessore dei “fondi di bottiglia”. Poi, improvvisamente, il miracolo: la sua vista aveva preso a migliorare drasticamente. Ma attraverso una risonanza magnetica scoprì che la causa del miracolo era una massa tumorale maligna che stava crescendo dietro gli occhi migliorandone la “messa a fuoco”. L’indomani mattina sarebbe stato sottoposto ad una lobotomia. Non sapeva se si sarebbe risvegliato e, nel caso, come si sarebbe risvegliato. E Riccardo da lì mi dice di aver capito: di fronte a quel ragazzo io ho tutte le fortune

A noi Cimers Riccardo Taverna augura di avere un sogno e cercare di raggiungerlo – senza voler  cadere in una parodia di Briatore. Io avevo due sogni, il primo era di diventare direttore generale di un’agenzia di comunicazione, e pur di diventarlo ho creato la mia; il secondo sogno è stato lasciare il segno. 

Paola Manzo