Nonostante la preoccupazione di ambientalisti che sollecitano quantomeno a ridurre al minimo lo shopping fast, i nostri carrelli digitali e le nostre carte di credito sembrano andare verso la direzione opposta.
Se riavvolgiamo la pellicola e torniamo indietro di una trentina d’anni, risaliamo alle origini di una macchina diabolica che è solo aumentata di grandezza negli anni: il fast fashion.
Nel 1947 nasce la catena H&M, seguita da primark e solo qualche anno dopo dalla prima Zara a La Coruña. In particolare, però, ad avanzare in classifica nell’ultimo periodo è stato il colosso cinese Shein che, nato nel 2008, arriva a fatturare dieci miliardi di dollari nel 2020.
Non pensiamo, tuttavia, che dietro ad una maglia o a un vestito a pochi euro non ci sia qualcun altro che paga un prezzo, come i minori dello Xinjiang costretti al lavoro forzato, in condizioni davvero disumane: diciotto ore di lavoro consecutive, un giorno di pausa al mese e condizioni igieniche non ammissibili. Questa disumanità è ciò che ha cercato di indagare il documentario del 2022 Untold: dentro la macchina Shein, che porta il pubblico dentro i meandri di questo sistema infernale, affrontando la relazione tra abbigliamento low cost e sfruttamento, anche minorile.
Di recente è stato rilevato, grazie a una ricerca da parte di Öko-Test, che diversi capi di abbigliamento e indumenti sono contaminati da sostanze nocive per la nostra pelle, come antimonio, dimetilformammide, sostanza pericolosa per la fertilità, e ancora sostanze nocive per il feto in grembo, come gli ftalati che sono vietati in quanto pericolosi per la madre e per il bimbo o la bimba che verrà al mondo.
Non è più solo una questione etica, che già avrebbe dovuto alzare la soglia della nostra attenzione, ma anche un discorso di sicurezza personale. Bisogna iniziare a riflettere su quanto il nostro risparmio oggi possa avere care conseguenze un domani. Conseguenze che, senza volere essere fatalisti, potrebbero non essere ripagate in denaro. Ecco perché in quest’ottica il ruolo del grande schermo – e, nel piccolo, della televisione – deve essere quello di incrementare la divulgazione di documentari e programmi di denuncia sociale di questo tipo, per portare alla luce la questione. Forse, se un articolo sul pericolo di sostanze chimiche che indossiamo non desta così tanto la nostra attenzione, un prodotto audiovisivo, anche di durata medio breve, come Untold, può farci desistere dal compiere azioni poco etiche e dannose.
Nell’era odierna, anche semplici video, shorts, reels postati sulle pagine di divulgazione scientifica, come ad esempio Geopop, possono aiutare a rendere più consapevoli coloro che con un click sullo smartphone aggiungono oggetti ai carrelli virtuali e, magari, anche a mutare il loro pensiero e la loro decisione d’acquisto.
Sara Gavinelli
