MARKETING E ADVERTISING, I CONTENT CREATOR SERVONO DAVVERO AI BRAND?

Agcom ha recentemente diffuso le nuove linee guida per alcuni dei più noti influencer attivi in Italia, con l’obiettivo di tutelare i follower dopo il caso Balocco che ha messo a dura prova la credibilità di Chiara Ferragni. Un’operazione di questo tipo è un segnale forte e chiaro di quanto l’influencer marketing sia ormai indispensabile alle aziende e vada, di conseguenza, regolamentato.

Ma i content creator servono davvero ai brand? O meglio: hanno un impatto significativo sui risultati aziendali?

Si potrebbe pensare che tutti gli influencer siano content creator, ma che non tutti i content creator siano influencer. Per acquisire potere sui propri follower, è necessario essere ritenuti affidabili o persino esperti in determinati settori: una missione non così semplice da portare a termine. D’altronde, i tiktoker che, per esempio, realizzano come principale contenuto sui loro profili dei video comedy, non è detto che riescano a convincere con facilità qualcuno tra i propri utenti ad acquistare un prodotto o un servizio. Chi, invece, si occupa nella quotidianità di dare consigli, influenzando le abitudini d’acquisto dei suoi follower – questo è particolarmente vero nel beauty – non ha difficoltà a promuovere un brand procurandogli anche dei risultati niente male.

Se si ragiona in questo modo, però, si salta uno step. I content creator che lavorano nella produzione di contenuti diversi da quelli degli influencer, se sono seguiti da un certo numero di utenti, hanno comunque visibilità. E nel “visibility game” teorizzato da Cotter, si impegnano a non perdere terreno sulle piattaforme.

In aggiunta, acquisiscono stima agli occhi dei propri follower, costruendo un rapporto di intimità, simulata o meno che sia. Se questo accade, i fan potrebbero decidere di comprare una t-shirt soltanto vedendola indossata da un creator in un post su Instagram. È così che, in parte, si diventa influencer.

Ogni brand scegli di investire su un certo influencer in base alla strategia di marketing e alla strategia comunicativa che sceglie di adottare. Lo scopo che l’azienda deve tenere ben presente nella progettazione e nella successiva realizzazione di una campagna promozionale via social è quello di far girare il nome, esattamente come succede in tv, quando siamo distratti o stiamo facendo zapping tra un programma e l’altro. Più in là, trovandoci un prodotto sotto gli occhi, ci ricorderemo di averlo già visto da qualche parte, perché abbiamo già inconsciamente attivato dei collegamenti mentali.

I social possono contare su un altro strumento, a differenza della televisione. Si tratta dell’algoritmo, che, quando il contenuto è etichettato come social advertising, lo “spinge” (il termine inglese è proprio to push) fino a farlo arrivare anche agli utenti che non seguono l’influencer scelto per la campagna.

Insomma, non c’è scampo. L’influencer marketing è una realtà ormai consolidata e non se ne può fare a meno. Sta alle aziende imparare a sfruttarlo al meglio, investendo in chi ha fatto dei social il proprio lavoro e facendo una scelta ponderata in base alle proprie finalità e alla propria strategia. 

Chiara Trio

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