«Il tempo [time] è quando guardi le foto dei tuoi bambini piccoli e poi li vedi e ti rendi conto che hanno la barba e i baffi e che la più grande speranza che avevi era che prima di diventare uomini avrebbero avuto l’occasione di stare con il proprio padre».
Il tempo è il personaggio onnipresente dell’omonimo documentario di Garrett Bradley, che racconta le vicende di Fox Richardson, una madre di sei figli, che attende e lotta per un patteggiamento sulla pena del marito Rob Richardson, incarcerato per 60 anni per aver partecipato ad una rapina.
La storia si articola in un flusso alternato tra il presente e il passato, quasi a volerci mostrare come ci sia un desiderio di tornare indietro soffocato dalla consapevolezza che si debba vivere nel presente. La narrazione visiva è un intreccio di scene di vita quotidiana, estrapolate dai filmati realizzati dalla Richardson nel corso degli anni e scene, in bianco e nero, riprese da Bradley mentre seguiva le vicende della famiglia. La stessa alternanza la si percepisce a livello emotivo: sorridendo nelle scene dei compleanni dei bambini e soffrendo in silenzio davanti all’impotenza di una madre che rivuole a casa il padre dei suoi figli.
Fox ci racconta l’amore per il marito che li ha tenuti legati dal liceo, il sogno di aprire il loro negozio di abbigliamento hip hop, il desiderio di riuscire negli affari, l’ottimismo, seguito dalle difficoltà e la disperazione. «La cosa che ricordo di più era il desiderio di non fallire, e siamo diventati disperati. Le persone disperate compiono azioni altrettanto disperate».
L’obiettivo della regista non era redimere la coppia dalle colpe ma raccontare una storia di resilienza, in cui il personaggio principale non è l’uomo in carcere, ma la moglie fuori che, da sola, ha cresciuto e mantenuto la sua famiglia, si è trasferita per stare vicino al carcere del marito reinventandosi in una nuova città, ha creato la sua piccola impresa ed è diventata un’attivista per chi, come lei, cercava un contatto con i propri cari chiusi nelle carceri, spesso in condizioni precarie.
Bradley, nell’uso del bianco e nero e di una attenta selezione fotografica e musicale (per la quale è stata nominata per diversi premi, tra cui l’Oscar come miglior documentario) si concentra sul desiderio di mostrare gli effetti devastanti dell’incarcerazione di massa sulle famiglie.
Questo film, che sarebbe dovuto essere una ripresa di un precedente corto, Alone, anche quello sul difficile rapporto tra chi sta dentro le carceri e le famiglie fuori, se ne distacca sia per la durata (81’ rispetto ai 12’ del corto) che per la selezione stilistica. La scelta di mostrare i momenti di quotidianità della famiglia e seguirne la crescita attraverso i filmati ha reso questo documentario unico tra tutti quelli che hanno cercato di trattare la questione spinosa del sistema della giustizia statunitense.
Il tempo nel narrato scorre silenziosamente cogliendo di sorpresa sia Fox che lo spettatore, abituati entrambi a vedere i bambini piccoli, per cui quando li rivedono adulti, ne rimangono sorpresi, quasi come se li avessero persi di vista per anni per ritrovarli con la barba e i baffi, diventati uomini.
L’epilogo del film richiama il desiderio per il passato, per tornare al bacio tra i due neosposi prima dei figli, prima della rapina, prima di tutto.
Il film è visibile in abbonamento su Amazon Prime Video.
Eugenia Maria Montresor