marketing vero

L’IMPERFEZIONE COME STRATEGIA: PERCHE’ IL MARKETING “VERO” FUNZIONA PIU’ DEL MARKETING PERFETTO

Per oltre due decenni la comunicazione di marca ha inseguito un ideale di perfezione estetica: immagini patinate, video ad alta definizione, montaggi impeccabili, volti stereotipati. Questo modello nasceva da una logica top-down, in cui il brand rappresentava un ideale aspirazionale distante dal quotidiano del consumatore. Oggi quello stesso ideale è diventato un limite.

L’affermazione delle piattaforme social, e in particolare dello short-form video, ha reso evidente una frattura: ciò che è tecnicamente perfetto non è automaticamente credibile. Anzi, spesso è percepito come artefatto, costruito, commerciale. Le persone hanno imparato a riconoscere i codici pubblicitari e a difendersene.

Secondo il Meta Creative Effectiveness Report (2023), i contenuti che utilizzano estetiche UGC-style generano fino al 35% in più di attenzione rispetto ai contenuti da studio. TikTok conferma lo stesso trend: i video che sembrano “amatoriali” hanno tassi di completamento e condivisione superiori perché risultano immediatamente leggibili come autentici.

La chiave non è la bruttezza, ma l’assenza di mediazione visibile.

Dal punto di vista psicologico, questo fenomeno è spiegabile attraverso la Social Penetration Theory (Altman & Taylor): la condivisione di elementi imperfetti abbassa le barriere relazionali e aumenta la percezione di vicinanza. Applicata al branding, l’imperfezione non è un difetto, ma un meccanismo di fiducia.

Brand come Glossier hanno costruito un impero evitando volutamente l’estetica pubblicitaria classica: foto scattate dagli utenti, testimonianze non filtrate, errori lasciati visibili. Non vendono un’idea di bellezza perfetta, ma una bellezza possibile.

Lo stesso vale per Gymshark, che ha trasformato creator comuni e micro-influencer in volti credibili del brand, spesso mostrando allenamenti reali, corpi non idealizzati, contesti quotidiani.

Anche Nike Training Club ha progressivamente abbandonato il linguaggio eroico delle campagne storiche per adottare format più semplici, diretti, spesso girati con smartphone, centrati sulla fatica reale più che sul mito.

È fondamentale chiarire un punto: l’imperfezione che funziona non è casuale.
È progettata.

Dietro un contenuto apparentemente spontaneo c’è una profonda comprensione dei linguaggi della piattaforma, dei tempi di attenzione e delle aspettative del pubblico. La qualità non sparisce: si sposta. Dalla forma alla coerenza emotiva.

Nel marketing contemporaneo, essere impeccabili non genera fiducia.
Essere riconoscibili sì.

Attilio Basile