A più di dodici anni dalla sua uscita, Her (2013) rimane un’opera profetica e struggente: un piccolo saggio esistenzialista sul rapporto tra essere umano e tecnologia.
La prima sceneggiatura originale scritta dal regista americano Spike Jonze risulta essere un resoconto esistenzialista sul rapporto tra l’uomo e la tecnologia, anni luce in anticipo su temi che oggi sono diventati centrali all’interno del dibattito sociale e culturale.
Al centro del racconto del film troviamo Theodore — interpretato da Joaquin Phoenix — un uomo che, nonostante per lavoro scriva lettere d’amore, non riesce a superare il trauma della separazione con la sua ex compagna. Tuttavia, quando una nuova generazione di sistemi operativi arriva sul mercato, Theodore inizia a sviluppare con uno di essi, chiamato Samantha, una relazione particolarmente intima.
Il film di Jonze, evitando qualsiasi tipo di sensazionalismo tecnico, sviluppa un racconto ambientato in una Los Angeles futuristica, ma credibile sotto ogni punto di vista. Quello che stupisce maggiormente, però, è l’estrema lucidità con cui il regista di Essere John Malkovich ragioni sulle dinamiche psicologiche ed emotive di un amore tra un uomo e un’intelligenza artificale, esplorandone con grande delicatezza le diverse fasi.
L’analisi affrontata da Jonze cerca di rimettere in discussione il concetto stesso di relazione. Il sistema operativo non ha un corpo fisico, ma possiede una voce che intrattiene e scalda il cuore del nostro protagonista. E allora, se una macchina può consolare, comprendere, far riflettere, far ridere, commuovere, cosa la differenzia da una persona in carne ed ossa?
Samantha diventa a tutti gli effetti un potentissimo strumento di riflessione sulla solitudine dell’uomo contemporaneo, incapace di trovare affetti nel mondo circostante, e quindi costretto a trovarli sotto forma di codice binario.
Funziona tutto in Her, dalle atmosfere patinate e spersonalizzanti alle interpretazioni degli attori, compresa quella di Scarlett Johansson che presta la voce all’AI. Ma forse, più di ogni altra cosa, il grande merito di quest’opera sta nell’aver mostrato, ormai più di dodici anni fa, come l’evoluzione tecnologica non sia mai neutra, ma possa impattare sul nostro modo di sentire, di relazionarci e di essere umani.
Giorgio Maria Amadori
