Nel film Il diritto di contare (2016), diretto da Theodore Melfi, la storia di tre matematiche afroamericane della NASA – Katherine Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson – ci guida verso una riflessione potentissima su come le soft skills possano essere strumenti di trasformazione sociale e lavorativa.
Nel contesto degli anni Sessanta, segnati dalla segregazione razziale e dalla discriminazione di genere, le protagoniste non si limitano alla mera sopravvivenza. Infatti, grazie alla loro determinazione, intelligenza relazionale e capacità di adattamento, riescono a ridefinire il proprio ruolo in un’organizzazione strutturata che tenta di escluderle. Proprio in questo contesto emergono le loro soft skills come: la capacità di gestire il cambiamento, di comunicare con assertività e rispetto, e di affrontare i conflitti senza rinunciare alla propria identità.
Katherine Johnson, in particolare, mostra un’elevata padronanza della comunicazione strategica. Nonostante le barriere sistemiche, riesce a trasmettere con chiarezza la propria competenza, conquistando la fiducia dei suoi superiori. La sua storia ci ricorda quanto sia cruciale l’intelligenza emotiva: una competenza che ci permette di leggere le dinamiche di potere, mantenere la calma sotto pressione e trovare il momento giusto per parlare. La sua figura rappresenta un perfetto esempio di “leadership gentile“, fondata sull’ascolto e la perseveranza.
Mary Jackson, invece, ci mostra come la resilienza e il pensiero critico possano trasformare gli ostacoli in opportunità. In un ambiente dove tutto le rema contro, non si limita a fare il minimo, ma osa, studia e si reinventa. È la rappresentazione concreta di ciò che viene chiamato un “mindset di crescita”.
Infine, abbiamo Dorothy Vaughan che, con il suo approccio collaborativo e lungimirante, incarna il valore della leadership condivisa. Non lavora solo per sé stessa, ma collabora a stretto contatto con il suo team, formandolo e accompagnandolo. Questo ci ricorda che il lavoro di gruppo efficace nasce dalla cura dell’altro, non solo dalla condivisione dei compiti.
A questo si aggiunge poi il valore dell’autoformazione, un altro tema centrale. Le protagoniste non aspettano l’opportunità, ma anzi la costruiscono, aggiornando le proprie competenze tecniche e sociali. Il film mostra come la formazione continua non sia solo una responsabilità, ma una forma di potere.
In conclusione, possiamo affermare che Il diritto di contare sia più di una storia di successo individuale. È una testimonianza del potere trasformativo delle soft skills, soprattutto quando applicate in contesti ostili. Le protagoniste non combattono con la forza, ma con l’intelligenza emotiva, la visione e la tenacia. Ci dimostrano che, anche quando le condizioni sono sfavorevoli, possiamo “contare” – in tutti i sensi – su noi stessi e sugli altri, affidandoci alla forza delle relazioni, del linguaggio e del coraggio.
Beatrice Vendramin
