Hai mai parlato con qualcuno che, mentre stai raccontando qualcosa, prende il telefono e comincia a scrollare? Se ti è capitato, allora conosci già – senza saperlo – il phubbing. È un neologismo nato nel 2012 dalla fusione di phone e snubbing (lett. snobbare) ed indica l’uso dello smartphone mentre si è in presenza di altre persone, ignorandole.
Una presenza digitale che crea assenza reale
Il phubbing è figlio diretto della simbiosi tra uomo e tecnologia: ci siamo talmente abituati a stare connessi, che spegnere il telefono o lasciarlo da parte sembra impossibile. Le notifiche, le app, i social ci spingono a rimanere sempre aggiornati. Eppure, questa iperconnessione porta anche una perdita importante: quella della qualità delle relazioni. Guardare il telefono mentre si è con qualcuno significa, spesso, togliere attenzione, rispetto e ascolto.
Non siamo multitasking (anche se pensiamo di esserlo)
Molti dicono: “Ma io ti ascolto, anche se guardo il telefono”. In realtà non è così.
Come conferma Nick Chater, professore alla Warwick Business School, il multitasking è un mito: passiamo da un’attività all’altra, ma non le facciamo davvero insieme. Quindi no, non stai davvero ascoltando.
Cosa c’è dietro il phubbing?
Dietro questo comportamento si nascondono spesso dinamiche più profonde. Si parla di dipendenze tecnologiche (da smartphone, Internet, social, giochi, app), fattori personali (come l’introversione, l’ansia, la noia o la bassa autostima), ma anche fattori situazionali (attesa di un messaggio importante, bisogno di evasione).
In sintesi, il phubbing può essere il segnale di un bisogno non soddisfatto: relazionarsi, distrarsi o semplicemente proteggersi.
Il bisogno di relazione… e il rischio del riconoscimento mancato
Il phubbing mina uno dei bisogni più profondi dell’essere umano: quello di essere visti e riconosciuti dal prossimo. Chi subisce phubbing può sentirsi ignorato, escluso e non ascoltato. E questo, soprattutto in persone più fragili, può portare ad una riduzione dell’autostima, a frustrazione, ma anche a difficoltà relazionali.
Cosa dicono gli studi
Numerose ricerche, come quella di Chotpitayasunondh e Douglas, hanno indagato l’impatto del phubbing sulla qualità delle relazioni e sul senso di appartenenza. Il risultato è chiaro: il phubbing abbassa la soddisfazione relazionale e può essere percepito come esclusione sociale.
Siamo davvero presenti?
Viviamo in una società multischermo e fluida, dove l’attenzione è frammentata e la realtà online convive (e spesso sovrasta) quella offline. In questo contesto, il phubber fa continuamente switch tra contesti digitali e relazionali, perdendo di vista il valore autentico dell’incontro.
Cosa possiamo fare per prevenirlo
Il phubbing non è sempre segno di dipendenza grave, ma è utile adottare comportamenti sani per evitarlo. Le buone pratiche che consigliamo sono quelle di spegnere le notifiche non essenziali, attivare la modalità silenziosa nei momenti relazionali, stabilisci regole di utilizzo condivise in famiglia o tra amici e soprattutto, fare attenzione allo sguardo dell’altro, perché è proprio lì che nasce la relazione.
Tutto ciò ci ricorda una cosa semplice ma essenziale: non possiamo essere veramente presenti se siamo altrove con lo sguardo e con la mente. Lo smartphone è uno strumento potente, ma l’attenzione è un dono. Offrirla a chi ti sta davanti è il primo passo per costruire relazioni sane, vere e significative.
Rosa Giuffrè
