Il primo appuntamento di quest’anno sul palco del Teatro i di Milano vede in scena Giorgia Cerruti e Davide Giglio della Piccola Compagnia della Magnolia in Mater Dei (testo inedito di Massimo Sgorbani), una pièce costruita attorno al rapporto tra una madre e un figlio che, nel suo rifarsi alle figure e alle tematiche della cultura letteraria antica (e non solo), si muove con grande forza riflessiva e d’immersione tra le cornici archetipiche del sacro e del profano.
Abbiamo intervistato Giorgia Cerruti, che di Mater Dei è regista e attrice.
Come è cominciata la sua avventura con il teatro?
La mia carriera attoriale è cominciata quando a 19 anni mi sono trasferita a Parigi e ho cominciato a studiare nella cornice del complesso teatrale de La Cartoucherie. Si è trattata di una formazione “a bottega”, molto vicina a quelli che sono i miei gusti tematici e narrativi, durante la quale ho avuto la possibilità di mettermi lavorare a tutto tondo sia in veste di attrice che di regista. Si tratta di un tipo di teatro fortemente immersivo, dove attraverso partiture vocali e fisiche specifiche l’attore diventa, nel senso più completo e letterale del termine, il fulcro centrale della scena: è questo un po’ il genere di esperienza teatrale che la Piccola Compagnia della Magnolia sta cercando di portare in scena da circa 14 anni.
Come è nato Mater Dei?
Il testo di Mater Dei è giunto tra le mie mani grazie al suo autore Massimo Sgorbani, che ho conosciuto proprio sul palco del Teatro i in occasione della rappresentazione della sua Trilogia dello Spavento e con cui ho stretto un rapporto di grande amicizia. È stato proprio Massimo che ha proposto a me e a Davide (che affianca Giorgia sul palco, nda) i ruoli della madre e del figlio di questa pièce che aveva scritto in occasione del Festival del Mito e poi messo da parte. Si tratta di un testo estremamente forte e violento (lo spettacolo è vietato ai minori di 14 anni) che si avvicina molto, sia nei temi che nella scrittura, all’ideale teatrale della nostra compagnia.
La pièce è costruita attorno ad un rapporto madre-figlio ricco di rimandi a culture diverse e, se vogliamo, contraddittorie: in che modo si è approcciata al testo da un punto di vista attoriale-registico?
La forza di un testo del genere risiede, per citare Massimo, «nell’ebbrezza dell’incomprensione», in bilico tra il risolto e l’irrisolto: è proprio in questa ottica che io e Davide sia alla resa attoriale che a quella scenica. Mater Dei è un flusso ininterrotto e inarrestabile di parole attraverso cui vengono creati ambienti che si incastrano perfettamente fra di loro, dove coabitano la dimensione pre-logica della figura del figlio, immerso simbolicamente in una vasca d’acqua generatrice, e la forza aggressiva del linguaggio razionale della madre. C’è soprattutto però una tensione irrisolta tra la tragicità della mitologia greca e gli ideali della cultura cristiana che incendia e vitalizza il testo e che, nel mettere in dialogo sacro e profano, logos e dionisiaco, si pone in maniera aggressivamente e incredibilmente fertile in comunicazione con il pubblico.
Che consiglio ha per uno studente che si vuole approcciare al mondo del teatro?
Il consiglio che darei ad un giovane studente che decide di approcciarsi al palcoscenico, in veste di spettatore ma anche di attore o regista, è quello di esigere autenticità dall’esperienza teatrale: in questo mare di produzioni che puntano sull’intrattenimento superficiale, penso che l’autenticità nell’intento e nell’aspetto umano sia ciò che distingue davvero l’esperienza teatrale vera da quella più istitutiva e senz’anima. Nel momento in cui essa viene a mancare, si va a disperdere del tutto l’aspetto quasi ritualistico nella cui ottica la rappresentazione teatrale è nata: si tratta di una comunione, un distillato di umanità che dobbiamo cercare di preservare a tutti i costi.
Mater Dei è in scena dal 16 al 21 gennaio al Teatro i di Milano.
Giacomo Placucci