Al giorno d’oggi, il confine tra vita e finzione viene ridefinito attraverso la ricostruzione digitale. Esemplare in quest’ottica è il film Rogue One, che riporta in scena attori del passato grazie a nuove tecniche digitali.
Il primo spin-off ufficiale dell’universo di Star Wars, prodotto da Lucasfilm e Disney, Rogue One (2016) ha fatto subito parlare di sé. Oltre ad essere stato apprezzato molto sia dalla critica sia dai fan della serie, c’è un aspetto tecnico e controverso che ha decisamente rubato la scena. Stiamo parlando della ricostruzione digitale di due personaggi iconici presenti nella prima trilogia della saga, sviluppata tra il 1977 e il 1983.
I due personaggi in questione sono lo spietato comandante della morte nera Wilhuff Tarkin, interpretato all’epoca da Peter Cushing e la giovane Principessa Leia, interpretata da un’appena ventenne Carrie Fisher. Ambientato poco prima degli eventi dell’Episodio IV — Il ritorno dello Jedi (1977), lo spin-off Rogue One ha la necessità, ai fini del racconto, di riportare in vita questi due personaggi dando loro un ruolo attivo e centrale nella trama del film.
La sfida è enorme, soprattutto nel caso del personaggio interpretato da Peter Cushing, il quale era scomparso nel 1994. Il punto però non è soltanto riportare in vita un attore defunto, ma anche rendere la sua immagine realistica agli occhi dello spettatore. Per farlo, il regista del film Gareth Edwards si è affidato all’arte digitale della Industrial Light & Magic, che per l’occasione ha sviluppato una sofisticata tecnica di performance capture. Per le scene necessarie è stato dunque utilizzato un altro attore, in questo caso l’interprete Guy Henry, che ha prestato il proprio corpo e la propria voce per interpretare il personaggio di Tarking durante le riprese, il tutto accompagnato anche dall’utilizzo di una tuta speciale provvista di sensori in grado di registrare tutti i suoi movimenti.
In post-produzione poi, il volto di Peter Cushing — ricavato da un incrocio di vecchi filmati e fotografie — è stato modellato sul corpo di Henry. La stessa cosa ovviamente è stata fatta con la ricostruzione digitale della giovane Leia Organa, presente nell’ultima sequenza del film. Anche in questo caso, sul corpo dell’attrice Ingvild Deila è stato ricostruito digitalmente il volto di una giovane Carrie Fisher che, all’epoca dell’uscita del film, era ancora in vita.
Questo caso ci fa aprire numerosi dibattiti di carattere tecnico, ma anche su questioni etiche: è giusto riportare in vita sullo schermo e rappresentare i volti di attori o attrici deceduti senza poter chiedere loro il consenso?
Giorgio Maria Amadori
