Il grande dittatore è l’opera con cui Chaplin sfidò Hitler e il nazismo a colpi di satira, parole di amore e rispetto. Un capolavoro della storia del cinema in cui la comicità diventa portatrice di pace e umanità.
Nello stato immaginario di Tomania, il bizzoso dittatore Adenoid Hinkel — interpretato da Charlie Chaplin— perseguita gli ebrei. Un tranquillo barbiere reduce di guerra (sempre Chaplin), perfettamente somigliante all’odioso leader, cerca di resistere ai soprusi per amore della bella Hannah (Paulette Goddard). Eppure, un casuale scambio di persona ridarà speranza all’intera umanità.
Dal genio insuperabile di Charlie Chaplin, ci troviamo di fronte ad un’opera tanto ambiziosa quanto rischiosa, essendo stata realizzata nel 1940 e dunque solamente un anno dopo lo scoppio della tremenda seconda guerra mondiale. Un film che deride e sbertuccia Adolf Hitler, l’uomo che in quel momento stava terrorizzando il mondo intero.
Ne esce fuori una coraggiosissima quanto potentissima satira politica, in grado di lanciare una forte critica trasversale ai falsi miti sulla presunta superiorità della razza ariana o sulle inaccettabili pretese territoriali rivendicate dalla propaganda nazista e fascista. Hitler “gioca con il mondo”, così come ci racconta benissimo la sequenza in cui vediamo il suo corrispettivo cinematografico, Hinkel, palleggiare con il mappamondo, in una sequenza scolpita nella storia del cinema.
Ma la partita per Chaplin si gioca anche su un altro fronte. Pochi sanno che il grande regista e attore odiasse il sonoro, la cui tecnologia venne omologata per il cinema nel 1927, ma che Chaplin usò per la prima volta soltanto nove anni dopo, nel 1936, durante le riprese di Tempi Moderni. Durante quel film però le uniche parole che sentiamo pronunciare a Charlot, il personaggio storico interpretato da Chaplin, non avevano alcun senso logico.
Quattro anni dopo arriva poi Il grande dittatore, l’occasione perfetta per sfruttare finalmente le potenzialità offerte dalla parola. Ed è qui che Chaplin dimostra ancora una volta di essere un genio della settima arte. I lamenti cacofonici del dittatore verranno sostituiti nella sequenza finale da un discorso in cui il barbiere protagonista, che si finge Hinkel, invita chiunque lo ascolti a vivere nella pace e nel rispetto reciproco.
Sono parole potenti che risuonano nelle menti e nelle coscienze dello spettatore, dimostrando che la parola, e più nello specifico la comunicazione verbale, se piena di amore e rispetto verso chi l’ascolta, è in grado di veicolare un messaggio universale e transgenerazionale, capace di colpire e scaldare i cuori dei popoli.
Giorgio Maria Amadori
