Chi non ha visto lo scorso anno il film Barbie? La sua uscita ha suscitato interesse e curiosità non solo tra i più piccoli, ma anche tra gli adulti, poiché Barbie in un modo o nell’altro può aver fatto parte del loro percorso di crescita.
Questa bambola è riconoscibile per i capelli biondi, le gambe filiformi e il sorriso smagliante.
Dietro Barbie, però, si cela un fenomeno che merita di essere analizzato. Forse è proprio questa idea di perfezione irrealizzabile che ha alimentato nei bambini il desiderio di aderire a canoni estetici difficili da raggiungere. È curioso notare come Barbie venga spesso valutata principalmente per la sua forma fisica, piuttosto che per le numerose figure professionali che rappresenta.
Il film Barbie, che lo scorso anno ha registrato incassi milionari, presenta una storia arricchita da un significato profondo. Questo emerge chiaramente in una scena in cui Barbie riflette sul fatto che, nonostante fosse stata una bambola iconica per intere generazioni, sembrava ormai dimenticata. Tuttavia, nel corso del film, si scopre che il legame con la bambola è mantenuto vivo dalla madre della ragazza interpretata da America Ferrera.
È interessante notare come il film affronti tematiche spesso considerate tabù, come emerge chiaramente nel momento in cui Barbie, interpretata da Margot Robbie, inizia a confrontarsi con questioni legate alla salute mentale e alla percezione del proprio aspetto fisico.
Il film affronta anche una serie di altre tematiche rilevanti, tra cui una profonda riflessione sulla femminilità, sull’identità, sulla bellezza, sulla società dei consumi e sulle aspettative di genere.
Un tema particolarmente interessante è quello dell’identità: le altre “Barbie” mettono in discussione loro stesse, invitando lo spettatore a interrogarsi su chi sia davvero Barbie al di là dei ruoli prestabiliti.
Durante la proiezione, sembrava quasi d’obbligo indossare un dettaglio, un capo d’abbigliamento o un accessorio rosa. Gli spettatori hanno così contribuito a creare un’esperienza collettiva unica, in cui il confine tra realtà e immaginazione si dissolveva, mentre il rosa si affermava come un codice non scritto per partecipare a un fenomeno condiviso.
Perché proprio il rosa? Barbie, fin dal suo debutto nel 1959, è stata associata a una palette colori specifica tra cui il colore rosa (che è diventato un po’ la sua firma). Questo colore è divenuto parte della sua identità visiva, simbolizzando bellezza, eleganza e femminilità, valori che la bambola incarna. Il rosa, essendo un colore brillante e accattivante, è facile da ricordare e immediatamente riconoscibile. Ripercorriamo un po’ la storia di Barbie. Essa ha inizio nel 1959, quando la sua creatrice, Ruth Handler, si trovò ad affrontare una problematica familiare che la spinse a ideare qualcosa di innovativo. Ruth aveva notato che la figlia, Barbara, giocava con le bambole di carta, immaginando per loro storie e ruoli da adulti, ma nessuna delle bambole in commercio rappresenta una figura adulta con carriere e aspirazioni.
Fu allora che Ruth, insieme al marito e a un designer, concepì l’idea della bambola tridimensionale con un corpo snodato e una figura slanciata che permettesse alle bambine di proiettare su di essa storie di adulti e di realizzare il sogno di essere qualsiasi cosa, dalla ballerina alla dottoressa, dalla stilista alla regina.
La bambola che ne derivò fu, appunto, Barbie, un nome scelto in omaggio alla figlia. Quando nel 1959 debuttò a New York, essa segnò una rivoluzione nel campo dei giocattoli. Grazie ai suoi look, il suo viso elegante divenne subito un simbolo di una femminilità idealizzata. La bambola fu anche oggetto di consumo e simbolo di emancipazione, offrendo alle bambine l’opportunità di immaginarsi adulte, indipendenti e libere di perseguire qualsiasi sogno. La nascita di Barbie e il suo successo iniziale sono legati sia a un cambiamento nei giochi sia nella rappresentazione della femminilità. Infatti, si è in un’epoca in cui i ruoli sono ben definiti e Barbie ha avuto anche questo compito di smussare i limiti legati al ruolo sociale.
Esistono tre riferimenti che è importante approfondire: i social media, il marketing e le testate giornalistiche.
Il film Barbie è diventato un vero e proprio fenomeno virale sui social media, generando una produzione massiccia di contenuti. Piattaforme come Instagram, TikTok e YouTube sono state il palcoscenico di tendenze, meme e riflessioni ispirate al film. Su TikTok sono nate diverse Challenge, tra cui balli, tutorial di trucco ispirati al look di Margot Robbie e outfit, ovviamente nei toni del rosa. Alcuni utenti hanno anche ricreato scene del film, interpretando piccoli spezzoni
Gli hashtag come #BarbieMovie, #BarbieCore e #BarbieChallenge sono diventati virali; ovviamente gli hashtag sono il “luogo” entro cui si sono creati community di appassionati.
Nel marketing si è osservato come alcune catene di negozi abbiano creato delle sezioni dedicate appositamente dedicate a Barbie: da Forever21, Balenciaga e Adidas.
Una curiosità (che non conferma la regola) riguarda le premiazioni ricevute: Ryan Gosling è stato nominato miglior attore non protagonista, ma ha espresso disappunto per l’esclusione di Margot Robbie. Ecco cosa ha detto a riguardo: “Non può esserci Ken senza Barbie e non può esserci un film di Barbie senza Greta Gerwig e Margot Robbie, le due persone più meritevoli per questo film storico celebrato in tutto il mondo”. Questa citazione è stata riportata in vari articoli di stampa e interviste.
Si può affermare per concludere che Barbie non si limita alla semplice rappresentazione della celebre bambola, ma si presenta come un’opera che gioca con il simbolismo e le aspettative culturali ad essa legate. Lo fa in modo ironico e profondo, interrogandosi sulle identità di genere, sulla società dei consumi, sulle aspettative estetiche e sull’idea stessa di perfezione. Il film reinterpreta una figura iconica.
La forza di Barbie risiede nel fatto che, pur essendo un film ricco di colori e di umorismo, riesce a trattare temi universali in modo accessibile e coinvolgente, trasformando un prodotto commerciale in un’analisi sociale e culturale che lascia un’impronta duratura nella mente del pubblico.
Michela Lizio
