Lo spot di Amica Chips, che raffigura delle suore che mangiano patatine al posto delle ostie durante la comunione, è stato accusato di blasfemia da un’associazione di telespettatori cattolici.
Lo spot di 30 secondi per Amica Chips, uno dei principali marchi di patatine, si svolge in un monastero e mostra delle suore che si preparano a ricevere la comunione. La madre superiora si accorge che il tabernacolo è vuoto di ostie e, quindi, lo riempie di patatine. Con l’Ave Maria che risuona in sottofondo, le suore si avvicinano all’altare e quando la prima riceve l’Eucaristia dal sacerdote, allarga gli occhi e si sente un rumore ‘’croccante’’. Il sacerdote e la giovane suora guardano verso una stanza, dove una suora più anziana è colta mentre sgranocchia una busta di Amica Chips seduta. Lo spot, trasmesso su Mediaset, uno dei più grandi emittenti italiano, e su altre reti private, si conclude con la madre superiore che finisce il pacchetto. Lo spot termina con il marchio del prodotto come una patatina ‘’divina’’.
Il Lorenzo Marini Group, l’azienda che ha creato tale annuncio pubblicitario, ha dichiarato che la campagna era rivolta a un pubblico più giovane “con una forte ironia britannica” e intendeva “esprimere la croccantezza irresistibile di Amica Chips” in modo deliberatamente esagerato e provocatorio. Il tentativo di umorismo non è stato ben accolto da alcuni, che hanno offerto parole dure.
La strategia di vendita delle patatine, però, non è stata ben accolta da Aiart, un’associazione di telespettatori cattolici, che ha chiesto che lo spot venga sospeso immediatamente. Giovanni Baggio, presidente dell’associazione, ha accusato l’azienda di patatine di ricorrere alla blasfemia per aumentare le vendite. L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, IAP, ne ha annunciato la sospensione, ma l’ordine non si applica agli inserzionisti online.
La religione è un argomento sempre più sensibile e grazie alla diffusione delle campagne sui canali digitali come i social media, i rischi di attirare attenzione negativa sul proprio brand sono ancora più alti. Molti pubblicitari lo vedono come un rischio da correre, poiché permette alle campagne pubblicitarie di distinguersi, portando un impatto maggiore, sia negativo che positivo. Nonostante siano stati ampiamente criticati per la loro scelta, i pubblicitari e le agenzie pubblicitarie continuano a utilizzare questo argomento.
L’uso della religione per pubblicizzare un brand, un prodotto o un servizio può talvolta dare i suoi frutti, tuttavia sarebbe giusto dire che bisogna sempre procedere con cautela. Utilizzare la religione come mezzo è una strada difficile per i brand, poiché è facile offendere un individuo, un gruppo di persone o più ampiamente, una comunità.
È necessario effettuare una ricerca e una valutazione prima del lancio della campagna per evitare qualsiasi impatto negativo sul marchio. Per esempio, nel 2017, la catena tedesca Lidl ha scelto di rimuovere le croci dalle chiese raffigurate sugli imballaggi del loro marchio Eridanous.
In fin dei conti, non tutta la pubblicità è buona pubblicità, specialmente nell’era in cui un passo falso può far diventare virale il brand per tutte le ragioni sbagliate.
Martina Tamà
