Oggi la disposizione socio-spaziale degli ambienti cittadini si modella al sorgere di politiche urbane, dinamiche e smart, mentre grazie ai percorsi di senso dei linguaggi, il self branding plasma l’identità cittadina.
Sovente si parla della globalizzazione come un fattore unificante, atto a plasmare il panorama macroeconomico e sociale, eppure di rado la si concepisce come un elemento impattante nelle “micro-azioni” quotidiane. Se la struttura del pensiero e del sapere umano si articolano secondo le logiche algoritmiche, la comunicazione muta e così anche le rappresentazioni stesse delle realtà. Ci troviamo dunque dinanzi a sistemi di simboli e di significati veicolati nella vita quotidiana, che indirizzano l’agire umano verso flussi energetici, vitali, tecnologici e più globalizzati.
Ciò fa pensare che le piattaforme esorbitino dai “confini” dei nostri dispositivi personali, cosicché i circuiti virtuali seguiti da milioni di utenti – siano essi clienti o lavoratori – si materializzano nella vita quotidiana e vengono percorsi passo dopo passo verso obiettivi reali. Lo spazio digitale si unisce a quello socio-materiale e così il volto delle città muta. Comunicazione e tecnologia, città e piattaforme ci conducono verso nuove strategie di brand identity e brand image.
Tutto ha inizio quando si vuole ripensare l’urbanistica in chiave tecnologica e si decide di riqualificare una determinata zona, in alcuni casi precedentemente industriale, un quartiere o addirittura un’intera città attraverso politiche mirate. Si costruiscono parchi, piste ciclabili, nuovi negozi, stabili moderni, musei e monumenti, che suscitano curiosità. Il fine è quello di attirare, oltre nuovi turisti e residenti, la classe creativa, composta tipicamente da ragazzi giovani benestanti, che amano luoghi dove poter utilizzare le tecnologie e soddisfare le proprie soft skills.
Dunque, si parla di una classe capace di innalzare l’immagine del luogo, in modo che altri residenti benestanti seguano di conseguenza. Inoltre, è possibile raggiungere capillarmente gli utenti grazie al supporto strategico di siti web, di blog e di social network. Si utilizzano regole semantiche e linguistiche per rendere i messaggi attraenti (colori, forme, layout, stile, tone of voice), per affermare quegli elementi identitari del luogo di riferimento e infondere il senso di appartenenza. Si studia così l’architettura funzionale dei mezzi di comunicazione utilizzati: un sito web dovrebbe essere di facile consultazione e dotato ad esempio di sezioni adeguate. Inizia così il processo di gentrificazione dei quartieri, supportato da tecniche di city branding, capace di innescare una spirale di successo verso l’incremento del benessere collettivo e lo sviluppo cittadino.
Molte realtà stanno seguendo l’eclatante esempio della città di Bilbao, che, grazie a progetti di rigenerazione urbana e alla famosa opera d’arte decostruttivista “Guggenheim Museum”, da realtà industriale è riuscita a risollevare la sua immagine, gentrificando le sue aree urbane e comunicando i suoi successi. L’attuale pagina Instagram del Museo è un utile strumento per presentare foto e reel di mostre ed eventi organizzati, opere d’arte e soprattutto la famosa opera “Maman” di Louise Bourgeois. Anche il sito web ufficiale è ben strutturato e presenta molte sezioni dedicate alla città, al tempo libero, alla gastronomia e in particolare al turismo.
L’insieme di simboli utilizzati fungono da percorsi di senso. L’identità del luogo cambia e così anche quella dei suoi abitanti: city branding e gentrificazione, due concetti all’apparenza distanti, ma resi inscindibili dai media e dalle piattaforme digitali.
Camminando per le vie di una città, mai immagineremmo quanto impegno c’è stato per renderla più interconnessa. Questo lavoro riveste un’importanza cruciale, poiché esso ha influito notevolmente sul livello di benessere percepito in veste di cittadini.
Potresti vivere in un quartiere gentrificato senza nemmeno saperlo!
Vanessa Lupi
