L’organizzazione lavorativa sta prendendo una nuova direzione. Chi controlla i servizi di delivery, controlla a distanza in tempo reale la città e un flusso di lavoro precario, favorendo “mansioni gig”.
In una società sempre più fluida, fondata sulle reti dell’informazione, le vecchie strutture burocratiche rigide si sciolgono in assetti dinamici e così anche il potere si trasforma in flussi di informazioni pervasivi e onnipresenti, che portano con sé dati e capitali. La network society si unisce ad una realtà “piattaformizzata”, che conserva tutti gli aspetti della nostra esistenza. I ‹‹Custodi di Internet›› (Gillespie, 2018), dai social alle app di delivery, sono diventati una presenza essenziale che facilita la nostra vita quotidiana, consentendoci di godere di un comfort senza precedenti dove ogni cosa è a portata di mano: dagli ordini di Amazon prime ai “Just Eat delle 10 di sera”, tutto è rapido e dinamico come i nostri click sullo schermo.
Ogni volta che una nuova tecnologia viene introdotta, movimenti tecnofobici si ribellano. La storia si ripete: i “Luddisti 2.0”, sono contrari alla digitalizzazione e alla IA per il potenziale rischio di sostituzione dell’uomo con le macchine. La macrostruttura sociale, in cui siamo immersi, è stata capace di definire nuove logiche più orientate al consumo dinamico, rapido, effimero e così anche lo stesso concetto di lavoro, quale fondamento del sociale, sta prendendo tali sembianze. “Industriosità” è il termine giusto per indicare la laboriosità degli individui, sempre alla ricerca di nuovi lavori e la gig economy si diffonde così a macchia d’olio, reclutando i suoi player come in un videogioco. Sono i rider del servizio delivery, diventati il fulcro dell’attenzione pubblica, poiché lavorano in tempi molto ristretti e devono affrontare rischi quotidiani in condizioni poco sostenibili.
Come cambia allora il mondo del lavoro con le piattaforme? Dal punto di vista giuridico il contratto di lavoro, che ne è alla base, oscilla sul sottile confine tra lavoro autonomo e subordinato ed esso non può essere neppure considerato un contratto di trasporto! Perciò tale posizione si presta immancabilmente allo sfruttamento e alla sottrazione di tutte le tutele poste a favore del lavoratore dipendente. I lavoratori hanno basse possibilità di carriera, sono sottoposti a orari e tempi variabili, le richieste sono casuali e soprattutto la retribuzione dipende da quanto essi lavorano. In una parola sono “freelance”. Nasce una nuova dimensione uomo-macchina dove il capo è l’algoritmo e i raider sono gli esecutori materiali delle consegne in tempo reale; è concesso loro solo di parlare con un chatbot di supporto per urgenze di ogni tipo. Si tratta di un lavoro particolare, perché l’infrastruttura principale è la piattaforma.
Le piattaforme di servizi non possiedono immobili, quindi è chiaro che, occupando una posizione intermedia ad esempio tra utente e ristoratore, esse collocano “l’estrattivismo digitale” dei dati utente al centro del proprio sistema business.
È dunque essenziale un equilibrio tra innovazione e tutela dei diritti del lavoratore per garantire un sistema di consegne sostenibile. Le città hanno bisogno di un volto più umano, cosa che le piattaforme faticano a garantire, per favorire le proprie logiche di potere e di controllo: la gig economy rappresenta una sfida tra meri codici binari e relazioni umane…
… non dimentichiamo che dietro ogni click c’è una persona…
Vanessa Lupi
