Il 10 novembre 2021 YouTube ha pubblicato sul proprio blog un aggiornamento per quanto riguarda il modo in cui i dislikes sono presenti sulla piattaforma.
Questa infatti è una delle pochissime platforms, insieme a Reddit, che consente di esprimere la propria disapprovazione verso un contenuto, a differenza di Facebook, Twitter, Instagram, TikTok e Linkedin, le quali prevedono invece reazioni tendenzialmente più supportive e positive.
La scelta della Big dei Video è stata però terreno fertile per bullismo e accanimento verso i content creator, tramite un dislike bombing inerente non tanto al contenuto creato, quanto alla volontà di “abbatterne” il creatore, attraverso un meccanismo di imitazione dei “pollici giù” scatenato da soggetti con un odio represso verso lo youtuber stesso, il quale potrebbe non aver fatto nulla per “meritarselo”.
Questo accade spesso anche sui siti di anteprima cinematografica prima dell’uscita sul grande schermo di alcuni film, di cui ne viene disincentivata la visione attraverso una serie di recensioni negative per motivi perlopiù banali, o per una scarsa volontà di comprensione del vero messaggio.
Basti pensare all’ultimo prodotto cinematografico della Marvel, Eternals, bombardato di negatività con il pretesto del rainbow washing, per la presentazione di una coppia omosessuale, che avviene in realtà in modo molto naturale e dolce, affatto forzato.
Al fine di tutelare i propri portatori di contenuti, e creare “un ambiente inclusivo e rispettoso”, YouTube ha quindi annunciato che non renderà più visibili i “non mi piace”, benché resterà invariata la possibilità per gli utenti di esprimere le loro reazioni attraverso il solito tasto, che ,invece, rimarrà al suo posto tra il “mi piace” e il “condividi”.
Questo dovrebbe consentire ai creators di potersi esprimere liberamente, sentendosi “al sicuro”.
Non stiamo parlando però di un’iniziativa del tutto nuova: già Instagram, a maggio, aveva introdotto la possibilità di nascondere il numero di likes, per contrastare la pressione percepita nel condividere i propri contenuti.
Infatti, se per alcune persone questo indice poteva essere gratificante, ad altri creava problemi, cosicché la piattaforma ha deciso di lasciare la possibilità di scegliere in base alle proprie preferenze.
Ma nascondere dei numeri può risolvere davvero questi problemi?
Sebbene l’occultazione di questo tipo di dati possa portare una sorta di “sollievo” per gli utenti, dobbiamo ricordare che si tratta soltanto di un’occultazione, appunto, e non di una risoluzione totale delle questioni esposte.
E queste non sono nemmeno le uniche. Infatti, tali numeri possono avere numerosi altri risvolti, talvolta molto negativi, come la propensione sempre più accentuata a voler apparire come “ciò che non si è” solo per ottenere più likes, o il voler sembrare più simili a qualcuno con molti followers, o ancora, il desiderare di avere un numero affiancato dalla lettera “k” come se questo potesse descrivere il proprio profilo e far sentire più “importanti”.
Si tratta di fatti talmente radicati nella cultura odierna, così quotidianamente “contaminata” dal mondo online, che modificarli dovrebbe obbligatoriamente comportare anche un contestuale e profondo cambiamento della società stessa in un processo lungo e certamente molto complesso.
Se ciò non sembra attuabile, almeno per ora, da parte delle piattaforme social, possiamo però sentirci almeno parzialmente consolati dall’attenzione da loro mostrata verso tali tematiche, e dalle attività avanzate finora.
Forse, questo potrebbe essere il segno dell’inizio di una serie di iniziative volte a sensibilizzarci, a renderci più umani, piuttosto che nascosti dietro ad uno schermo. O almeno così è bello sperare.
Simona Gilardoni